domenica 3 novembre 2013

"Il tempo: semplice illusione umana o entità autonoma?"

“Il tempo c’è stato sempre o è venuto fuori a un certo punto?”* La domanda che si pone Andrea Camilleri in un suo articolo pubblicato su “La Stampa” costituisce il punto di partenza del costante e tuttavia vano, tentativo dell’uomo di conoscere il tempo. Secondo Sant’Agostino, il tempo fu creato da Dio insieme con l’Universo, ed è dunque un’entità che ha un suo punto di inizio. In realtà, il tempo nasce con l’uomo, ovvero esiste nel momento in cui vi è una mente pensante capace di coglierlo. Esso, insieme con il concetto di spazio, è ciò cui Kant conferisce la denominazione di “forma a priori”, categoria da cui l’uomo non può prescindere nel processo intellettivo mediante il quale, a livello gnoseologico, fonda la realtà. Il concetto di tempo è dunque insito nella mente umana. Tuttavia il rapporto che abbiamo con “questo nostro coinquilino esistenziale” *, che profondamente influenza la nostra interiorità, è talvolta conflittuale. Ed è per questo motivo, quindi, che gli Epicurei, perseguendo la concezione oraziana del “carpe diem”, guardavano al tempo come ad una costante conquista, ottenuta mediante un processo intellettivo di cui soltanto il saggio era capace di avvalersi. Responsabile dello stravolgimento dei rapporti tra l’uomo ed il tempo è, ad ogni modo, il Cristianesimo. Se infatti la cultura greca poneva alla base della sua dottrina una concezione secondo la quale il tempo procedeva percorrendo una circonferenza, donde la certezza di poter conoscere il futuro guardando al passato, il pensiero cristiano, invece conferisce al tempo la forma di una linea retta che ha un inizio, coincidente con la creazione del mondo, e che procede, attraverso l’Incarnazione di Cristo, sino alla dimensione dell’Eternità. Tale concezione implica un susseguirsi di eventi secondo una visione storicistico-escatologica, che vedrebbe un fine ultimo nella salvezza dell’anima. Tuttavia una siffatta concezione del tempo è responsabile, in realtà, del crollo delle certezze dell’uomo. Il futuro diviene infatti entità inconoscibile con la quale si teme il confronto. “Il problema dell’uomo moderno è [dunque] senza dubbio quello di sospendere il tempo”*, la qual cosa genera una dimensione di “eterno presente” in cui adagiarsi risulta compito lieto e poco laborioso. Guardare ad un inconoscibile e soprattutto incerto futuro vuol dire per l’uomo responsabilizzarsi, dunque accettare la propria autodeterminazione, e la conseguente liberazione da qualsiasi entità “altra” che decida in luogo suo. Si tratta dunque di pervenire ad una “libertà da” la cui ultima conseguenza è la pazzia. La mente umana non è infatti adatta a creare, né tantomeno a “crearsi”, dunque ha bisogno di essere etero-diretta. La Modernità presenta inoltre una serie di scoperte scientifiche che hanno concorso a dare all’universalità del tempo una sferzata esiziale. Vi è, tra queste, la teoria della relatività di Einstein, che quantizza il tempo in proporzione all’interiorità dell’individuo che la coglie, asserendo l’impossibilità del concetto di tempo quale dimensione oggettiva ed universalmente conoscibile. “Siamo così arrivati ad una scomposizione della storia su più piani, ovvero, se si vuole, alla distinzione nel tempo della storia, d’un tempo geografico, d’un tempo sociale e d’un tempo individuale”*. Mancano dunque le coordinate esistenziali affinchè il tempo recuperi la sua dimensione universale. Inoltre l’abbattimento della Torre Eburnea dell’Essere, operato dalla Modernità, non ha fatto altro che accentuare il fenomeno di indeterminazione e di frammentizzazione dei piani del reale. La letteratura ha reagito a tale fenomeno di riduzione del tempo a dimensione esclusivamente interiore, generando opere i cui protagonisti si figurano come portatori di una visione distorta dei piani temporali. Svevo, ad esempio, nel suo capolavoro, “La coscienza di Zeno”, dà vita ad un personaggio nevrotico incapace di percorrere, nei suoi diari, un susseguirsi cronologico del tempo, che viene stravolto ed affidato alla dimensione interiore del protagonista, il quale lo vede dilatarsi e ridursi a seconda del proprio stato d’animo. Proust, invece, nel “Tempo ritrovato”, conferisce al protagonista la capacità di sospendere il tempo servendosi della memoria, così da recuperare una condizione passata che ha come conseguenza il sovrapporsi dei piani temporali presenti a quelli passati, di modo che egli possa, pertanto, far rivivere realmente, se per “realmente” si intende “nell’immaginario della mente”, un’esperienza già vissuta. Nel suo costante tentativo di dare una spiegazione al mondo, servendosi del simbolo, l’arte ha dunque analizzato in profondità il concetto di tempo. Per quanto riguarda la pittura è possibile, ad esempio, constatare ne “Gli orologi molli” del surrealista Salvador Dalì, il quale rappresenta, immersi in una landa desolata, orologi privi di consistenza solida, che si adagiano su forme da cui sono modellati, il tentativo di sospendere il tempo, che ha come scopo quello di cogliere l’Infinito, dimensione alla quale, tuttavia, non è possibile pervenire. L’opera di Dalì è infatti una risposta alla realtà della guerra, davanti alla quale l’arte resta attonita, e si immobilizza, incapace di confrontarsi con un uomo che ha ceduto alle sue più bestiali pulsioni. Il tempo in Dalì viene dunque fermato, il che rappresenta la protesta di un’entità che si rifiuta di andare avanti, quasi si vergognasse di accompagnare l’uomo nel suo cammino esistenziale. Ad ogni modo, il tentativo di conferire al tempo i connotati di entità autonoma è estremamente velleitario. Non possiamo infatti sapere cosa è, se davvero esiste, se è nato prima o dopo rispetto all’uomo e se possiede una sua dimensione oggettiva. Ma “forse è proprio il tempo oggettivo che, seguendo una sua curva matematica, si accorcia progressivamente, fino a ridursi a nulla nel giorno della morte. […] Quando ci fermiamo del tutto, e viene la morte, il tempo diventa così infinitamente veloce che è come se fosse di nuovo immobile, e ritorniamo in un’altra eternità, che forse è quella stessa da cui eravamo partito, o che forse è il nulla” *


*cfr. A. Camilleri, “Il tempo”, LA STAMPA, 24/05/03
*cfr. A. Tabucchi, “Dopo il muro”, LA REPUBBLICA, 2/10/03
* cfr. F. Dal Masa, “Con Ulisse al tempo dei kamikaze”, L’AVVENIRE, 18/01/04
* cfr. F. Braudel, “Civiltà e imperi del Mediterraneo nell’età di Filippo II”, 1949, Prefazione
* cfr. C. Levi, “L’orologio”, 1950


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