lunedì 19 dicembre 2016

La Divina Commedia in 2 minuti - Inferno, Canto VI (i Golosi)



Dopo esser svenuto a seguito dell’incontro con Paolo e Francesca, Dante si risveglia direttamente nel Terzo Cerchio, dove vede anime tormentate da una pioggia scura e maleodorante.
A guardia di questo Cerchio, in cui sono puniti i golosi, vi è l’orribile cane a tre teste Cerbero, descritto con tratti demoniaci. 
Questi tormenta i dannati con i suoi artigli e mostra le proprie zanne a Dante in segno di minaccia. 
Ancora una volta, però, interviene Virgilio, che tiene a bada l’orrendo e grottesco guardiano gettando nelle sue tre bocche quella stessa putrida fanghiglia nella quale sono distesi i dannati. 
Dante può adesso avanzare, ma ecco che un’anima si desta improvvisamente per parlare con lui. Si tratta di Ciacco, cittadino noto a Firenze per la sua costante presenza a banchetti di ogni tipo. 
Se nel canto precedente il tema era quello dell’amore nei suoi risvolti passionali ed etici, il VI Canto presenta il tema politico, affrontando la corruzione e la decadenza morale della città di Firenze. Dante chiede infatti a Ciacco il destino della sua città, e questi preannuncia la cacciata dei Guelfi Neri da parte dei Bianchi, seguita poi dalla caduta di questi ultimi a causa dell’intromissione di un personaggio misterioso. Dante ci fa intendere tra le righe che si tratta dell’odiato Bonifacio VIII. Le discordie tra i cittadini fiorentini, prosegue Ciacco, sono dovute alla superbia, all’invidia e all’avarizia. 
Dante chiede allora di alcuni illustri fiorentini, tra cui il grande Farinata, per sapere quel sia stata la loro fine e Ciacco gli rivela che sono tutti condannati all’Inferno. 
Infine il goloso fiorentino prega Dante di ricordare il suo nome quando sarà tornato tra i vivi. Alla fine del dialogo, Ciacco storce gli occhi e torna a distendersi tra gli altri dannati. 
Virgilio allora spiega a Dante che quel dannato non si ridesterà più fino al giorno del Giudizio Universale. 
Nel frattempo i due giungono nel cerchio successivo, dove vedono Pluto, altro guardiano infernale.

sabato 10 dicembre 2016

La Divina Commedia in 2 minuti - Inferno, Canto V (Paolo e Francesca)



A cura di Manlio Marano

Il Quinto Canto dell’Inferno è uno dei canti più conosciuti della Divina Commedia, probabilmente perché affronta il tema dell’amore con versi di una bellezza poetica senza tempo.
Dante e Virgilio scendono nel Secondo Cerchio, dove incontrano Minosse, giudicatore infernale. Questi esamina le colpe dei peccatori e, arrotolando la sua coda mostruosa, assegna a ciascuna anima il luogo della pena. Minosse vede Dante e, notando che è vivo, lo invita a guardarsi dall’avanzare. Ma Virgilio, come già aveva fatto con Caronte, tiene a bada Minosse, indicandogli che la presenza di Dante in quel luogo è voluta da Dio stesso.
Nel buio fitto dell’Inferno, Dante allora intravede delle anime. Queste sono travolte da un vento inarrestabile, che le trascina senza controllo in tutte le direzioni, mentre loro si abbandonano a grida e a lamenti. Dante chiede dunque al suo maestro l’identità di quelle anime, e Virgilio gli mostra alcuni grandi personaggi della storia, peccatori di lussuria e morti d’amore.
Tra questi vi sono l’imperatrice Semiramide, Didone, Cleopatra, Elena di Troia, Achille, Paride, Tristano ed altri.
Dante viene poi colpito dal procedere lieve di una coppia a cui rivolge la parola. Si tratta di Francesca da Rimini e di Paolo Malatesta, tra loro cognati, e protagonisti di una tragica storia d’amore. Essi si erano innamorati leggendo dell’amore tra Ginevra e Lancillotto. Questa fu la causa della loro morte poiché il marito di lei, nonché fratello di lui, Gianciotto Malatesta, scoprì questo loro amore e li uccise entrambi.
La partecipazione emotiva di Dante è fortissima. Egli aveva infatti conosciuto le teorie dell’amore cortese, contrarie ad ogni rapporto di amore codificato da leggi e da vincoli. Tuttavia, la condanna è netta, poiché i due amanti, seppur attraverso la nobilitazione letteraria, si erano comunque abbandonati al peccato di adulterio e di lussuria. Nonostante tutto, la commozione di Dante è talmente intensa che, dopo aver ascoltato la storia di Paolo e Francesca, il poeta, sopraffatto dalla pietà, sviene. “E caddi come corpo morto cade”.

martedì 6 dicembre 2016

La Divina Commedia in 2 minuti - Inferno, Canto IV



A cura di Manlio Marano

Dante si risveglia improvvisamente sull’altra riva dell’Acheronte e, insieme a Virgilio, scende nel primo cerchio dell’Inferno, il Limbo. Qui viene colpito da intensi sospiri che provengono dalle anime dei bambini morti prima di essere battezzati, insieme con tutte le donne e gli uomini vissuti prima della venuta di Cristo. Questi non hanno rifiutato Dio, ma semplicemente non hanno potuto conoscerlo. Per tale motivo, la loro unica condanna è la lontananza stessa da Dio. 
Virgilio, che condivide la sua condanna con queste anime racconta poi a Dante di quando Cristo scese nel Limbo per portare in cielo le anime dei patriarchi dell’Antico Testamento. 
Mentre continuano a camminare, Dante vede una luce e capisce che in quel luogo vi è gente degna d’onore. Allora, insieme con Virgilio, Dante viene accolto dai grandi poeti dell’antichità: Omero, Orazio, Ovidio e Lucano, e sente l’orgoglio di essere il sesto tra quei grandi poeti. 
Dante viene poi condotto da questi all’interno di un castello racchiuso da sette cerchi di mura e difeso da un fiume. Da un’altura si vedono le anime che abitano quel luogo.
Si tratta degli spiriti magni, ovvero i grandi uomini della cultura classica, e non solo. Tra questi Dante scorge Giulio Cesare, Enea, Cicerone, Aristotele, Averroè, il Saladino, ed altri. Essi sono coloro che, inconsapevolmente, hanno testimoniato la presenza di Dio con le loro opere, e Dante non può non riconoscerne la grandezza. Questi parlano di rado e con voci soavi. Il loro sereno distacco, la loro dignitosa compostezza e il loro autorevole aspetto sono i segni estetici della loro superiorità intellettuale e morale. 
Dopo aver ammirato queste anime, Dante si diparte da quei poeti che gli avevano fatto l’onore di accoglierlo come sesto fra loro. Egli non sapeva ancora però, o forse sì, che la Storia lo avrebbe poi riconosciuto come il primo tra i poeti. 
Alla fine del Canto, Dante e Virgilio giungono in un luogo dove il buio regna sovrano.

lunedì 5 dicembre 2016

La Divina Commedia in 2 minuti - Inferno, Canto III



A cura di Manlio Marano

Dante e Virgilio sono ormai giunti davanti alla porta d’ingresso dell’Inferno. Un’iscrizione preannuncia le caratteristiche del luogo, regno dell’eterno dolore senza speranza. 
Dante non capisce il senso di tale iscrizione oscura, ed interroga il suo maestro, il quale lo invita ad abbandonare ogni indugio e, prendendolo per mano, gli sorride per riconfortarlo. Così, insieme, Dante e Virgilio varcano la porta dell’Inferno. 
Le prime anime che essi incontrano sono quelle degli Ignavi, coloro che in vita non presero mai posizione, non seguirono mai un ideale. Bisogna guardarli, perché esistono, ma subito dopo bisogna passare avanti e ignorarli. 
Nel Terzo Canto dell’Inferno incontriamo, per la prima volta, la legge del contrappasso. Le anime degli Ignavi, infatti, così come in vita non seguirono alcun ideale, sono costrette, adesso, a inseguire un’inutile insegna. Esse sono inoltre continuamente stimolate da vespe e da mosconi, e il loro sangue, misto alle lacrime, viene versato come cibo per vermi. Dante riconosce alcune di queste anime e tra esse pare esservi, almeno secondo l’interpretazione dominante, anche l’anima di Ce-le-stino V, che per viltà rinunciò al soglio pontificio.
Successivamente, Dante e Virgilio giungono al fiume Acheronte, e l’attenzione del poeta fiorentino viene attirata dal vero protagonista di questo canto: Caronte, traghettatore infernale. Questi, descritto con tratti severi e demoniaci, quando vede Dante, e capisce che è vivo, lo invita con durezza a farsi da parte poiché lì vi è spazio solo per le anime dei morti. Subito, però, Caronte si ammansisce quando Virgilio gli spiega che la presenza di Dante in quel posto è, in realtà, voluta da Dio stesso. Allora, Caronte fa salire a bordo le anime dei dannati battendo con il remo chiunque si stenda sul fondo della barca. 
Poi la terra inizia a tremare, Dante vede una luce e sviene, “come l’uom cui sonno piglia”.

La Divina Commedia in 2 minuti - Inferno, Canto II



A cura di Manlio Marano

Il secondo canto dell’Inferno è il canto del dubbio.
Verso il tramonto Dante si accinge a compiere l’arduo cammino dopo aver invocato le muse. Ma subito manifesta a Virgilio i propri dubbi. È vero che prima di lui già Enea e San Paolo avevano compiuto quel viaggio. Ma l’uno era il grande fondatore di Roma, che diventerà poi Impero e sede del papato, e l’altro era San Paolo, che scese nell’oltretomba per portare conforto alla fede cristiana, allora nascente. Di fronte alla grandezza di questi due personaggi, i dubbi di Dante sono legittimi. Peraltro, se non li avesse manifestati, avrebbe peccato di superbia.
Ciononostante, Virgilio lo rimprovera accusandolo di viltà, e gli racconta del motivo per il quale egli si sia trovato a fargli da guida. Allora Virgilio spiega a Dante che è stata la stessa Beatrice a chiedergli di aiutare il suo amico in difficoltà. Questa è scesa nel Limbo, dove Virgilio era tra “color che son sospesi”, per invitarlo a soccorrere Dante. Ella aveva spiegato al poeta latino che era stata spinta a far ciò da Santa Lucia, che rappresenta l’allegoria delle grazia illuminante. Questa però, aveva agito, a sua volta, su richiesta della Madonna stessa. Dante allora, confortato dal sapere che tali tre donne nel cielo sostengono il suo cammino, rinvigorisce come i fiori piegati e chiusi dal gelo notturno, che, dopo essere stati riscaldati dal sole, si drizzano sul loro stelo.
Allora Dante, nell’aere bruno del tramonto, che anticipa il buio dell’Inferno, è pronto a seguire il suo maestro.
Questa volta il viaggio può veramente avere inizio.