domenica 5 gennaio 2014

"La poesia moderna: uno spazio vuoto virgolettato"

Nella società delle comunicazioni di massa nasce spontaneo, nell’animo dei Pensanti, il dubbio se la poesia possa ancora esistere. L’intellettuale di oggi trova infatti estrema difficoltà nell’esercitare il proprio ruolo, poiché tematiche troppo complesse risultano incomprensibili all’esercito dei mass media. La società odierna presenta di certo un livello culturale più alto rispetto al passato, tuttavia l’azione dei mass media ha creato un appiattimento generale delle menti che induce la massa ad identificare nella mediocrità la propria aspirazione massima. Ad essa si accompagna quello che Umberto Galimberti definisce un “ospite inquietante”, il nichilismo come giustificazione della realtà. D’altra parte Eugenio Montale nel suo discorso tenuto alla consegna del premio Nobel per la letteratura (Stoccolma, 1975), in cui si chiede se è ancora possibile la poesia, evidenziò con lucida disillusione che “sotto lo sfondo così cupo dell’attuale civiltà del benessere anche le arti tendono a confondersi, a smarrire la loro identità”.

In effetti la poesia ha sempre rappresentato una reazione alle esigenze della società e, poiché l’uomo è oggi in qualche modo privato della propria identità, la quale placidamente confluisce in un coacervo indistinto di menti prive del libero arbitrio, essa viene di conseguenza declassata ad arte priva di senso, utile solo in vista di un interesse economico. Siamo di fronte ad un parossismo che sta distruggendo la poesia, o meglio che la sta avvelenando, asservendola ai beceri interessi economici dell’Industria della Cultura. Come spiegano con sconcertante chiarezza Adorno e Horkheimer in “La Dialettica dell’Illuminismo”, “la società spettacolo non vuole cancellare la nobile funzione della poesia, perché sa che ne avrebbe un ritorno d’immagine negativo”, e che rinuncerebbe ad un ottimo strumento di sfruttamento economico. È in atto un processo di plasmazione dell’arte che servilmente si prostra davanti ai “Signori del lucro”, obbedendo al ruolo di veicolo di plagio mentale sui deboli intelletti della nostra società. Si avverte tuttavia, nella classe degli intellettuali, un senso di impotenza, derivante dalla consapevolezza della scarsa influenza che essa può ormai esercitare nei confronti della società. Mentre infatti un tempo la poesia, e comunque l’arte in generale, era veicolo di grandi idee, essa oggi non trova riscontro nella società, se non come sostegno alle immagini, o come fenomeno puramente estetico. La magnificazione dantesca degli alti valori come simboli del senso della vita non può dunque più esistere. D’altronde lo stordimento causato dalle droghe, dal benessere eccessivo, e in qualche modo da Internet, non può che tenere lontano l’uomo dalla poesia, ovvero dall’arte. Se le droghe a livello chimico ci dissociano dalla realtà, generando così casi di depressione cronica, se l’eccessivo benessere offre l’illusione di un’apparente felicità, se Internet propone come fonte più alta di dialogo l’uso di frasi sgrammaticate, e come lingua universale un codice meccanico e ripetitivo, non possiamo non sorprenderci di fronte al disinteresse della società nei confronti della poesia, e per estensione, dell’alta cultura in generale. Cionondimeno alla domanda se è ancora possibile la poesia nella società delle comunicazioni di massa la risposta è di certo affermativa. Tuttavia l’unica poesia che può avere successo è probabilmente quella asservita all’interesse economico, plasmata in base al principio del guadagno, il quale cela tuttavia qualcosa di estremamente inquietante: lo sfruttamento per lo sfruttamento. Viene alla mente il Mazzarò verghiano, l’eroe della logica dell’accumulo, il quale accumulava la “roba” per il semplice piacere di accumulare, in funzione di uno sfruttamento utilitaristico del prossimo che era però, in primo luogo, sfruttamento di se stesso. Viene dunque da chiedersi che speranza può esserci per la generazione del domani, quella degli attuali giovanissimi, che chinano il capo dinanzi al loro “massimo fattor”, ossia l’idolo di turno, spesso individuato in cantanti o show-men in generale, che rappresentano una visione del mondo spensierata e che, mediante l’ostentazione estrema del loro stato di tossicodipendenza, si fanno inevitabilmente testimonial della droga stessa.

La poesia, che da sempre, come sottolineava Torquato Tasso, “intesse fregi al vero”, è dunque oggi serva della comunicazione di massa, e comunicazione di massa stessa. Il paradigma poetico della nostra realtà, pertanto, non potrà che essere uno spazio vuoto virgolettato. È questa d’altronde la rappresentazione stessa della società moderna, vittima di un “vuoto ideologico” che trova sfogo nel nichilismo e nel qualunquismo oggi dilaganti.


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3 commenti:

  1. La nostra ispiratrice comune : prof.Solombrino :)

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  2. Puoi dirlo forte... Massima stima e profondo rispetto per i nostri maestri!

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  3. Eh già... O tempora, o mores!
    Qualcuno - forse un docente universitario - ha parlato ultimamente di una nuova corrente poetico-letteraria: il Vuotismo. E, quando ho letto del tuo "spazio vuoto virgolettato", il collegamento è stato immediato. Qualcun altro ha invece proposto un nuovo nome per l'attuale corrente artistica: il Bimbominchismo.
    Certo, in angoli remoti e silenziosi di questa nostra Terra (a)sociale, straordinari poeti, ancora avvezzi all'uso della penna a sfera di Bíró e della cartastraccia, stanno forse componendo gli illuminati versi del futuro, dando così vita, chissà, ad una nuova tradizione metrica italiana.
    Non perdiamoci d'animo! Sono convinta che non sia tutto davvero finito.
    Poesie indubbie sono già molte delle canzoni di Fabrizio De Andrè, o ancora, ad esempio, di Franco Battiato e di chi recita, su seducenti note, "se c'è qualcosa che non ti va, dillo alla Luna, può darsi che porti fortuna...". Grandi nomi annovera e può vantare il panorama cantautorale italiano.
    Chi fra noi abbia ancora a cuore il concetto ed il valore dell'Ars Poetica non disperi; si unisca invece alla comune preghiera di guarigione.
    Chiarissimi saggi daranno forma a nuove raccolte, in cui, tra versi epici, lirici e drammatici - per la gioia dei posteri e di noi tutti - risplenderanno finalmente "giocose, moderne et facetissime egloghe [...]. Sotto bellissimi concetti, in nuovo sdrucciolo, in lingua materna".

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