lunedì 26 febbraio 2024

"Soldi ai partiti, quale scelta giusta?"

La corruzione nella politica rafforza la delegittimazione della politica. Una delegittimazione che spalanca gli spazi al “grillismo” da una parte e alle spinte autoritarie dall’altra. Il che può portare a effetti pericolosi, poiché quando i cittadini si allontanano dalla politica, lo spazio di questa viene occupato da poteri privi di legittimazione democratica (il governo Monti ne è stato un esempio).


Sul tema del finanziamento pubblico ai partiti, però, si deve essere molto cauti, ma al contempo chiari. La mala gestione delle risorse economiche nasce da un’assenza di controllo interna ai partiti. Questa situazione è il frutto, in Italia, di un lungo percorso di personalizzazione della politica. Ma la corruzione si annida tra le logiche dell’economia e del mercato, e nello spazio che questi trovano nella gestione della cosa pubblica. Il dibattito sull’abolizione del finanziamento pubblico dei partiti giunge al culmine di una serie di scandali che hanno fortemente scosso l’opinione pubblica, che a gran voce ha chiamato il Parlamento ad assumere una posizione decisa.

Ma se l’abolizione del finanziamento pubblico dei partiti fosse una cattiva idea? Certo, nel 1993 un referendum promosso dai radicali mostrò che il 90,3% era a favore dell’abrogazione della legge che prevedeva il finanziamento pubblico ai partiti. Ma forse quella era solo una reazione dell’opinione pubblica al momento storico. Oggi, in effetti, la sfiducia nei confronti della politica non è poi tanto minore rispetto al 1993. In certo qual modo ritengo che oggi non solo vi sia un forte senso di sfiducia nei confronti della politica, ma anche una mancanza di rispetto nei confronti delle Istituzioni, tendente, in taluni casi, all’indifferenza. Il susseguirsi dei recenti scandali sulla mala gestione dei fondi dei partiti ha portato l’opinione pubblica a vedere nel finanziamento pubblico ai partiti l’immagine dei soldi rubati o spesi male, destinati a finanziare privilegi e ozi vari. Soldi comunque sottratti alle tasche della collettività per finanziare il comodo di pochi. Però bisogna fermarsi un attimo e riflettere. Innanzitutto, il fatto che qualcuno approfitti del sistema non vuol dire, necessariamente, che il sistema sia sbagliato. Molti evadono le tasse, ma a nessuno è mai venuto in mente di chiedere l’abolizione del fisco. Molti automobilisti non rispettano il semaforo rosso, ma non per questo vanno aboliti i semafori. Molti si fingono invalidi per ottenere i sussidi statali, ma nessuno potrebbe mai giustificare con argomentazioni valide l’abolizione del sistema delle pensioni di invalidità. Con questo voglio dire che il marcio esiste in qualsiasi ambito della società, ma non per questo va eliminata la società. Quel che bisogna fare, invece, è scovare il marcio, laddove esiste, e prendere provvedimenti. E questo si fa attraverso un controllo effettivo e penetrante. Ora, finanziare i partiti solo attraverso una contribuzione privata significa, di fatto, consegnare la politica ai ricchi. Chiunque sia molto ricco potrà crearsi e finanziarsi un partito, attraverso il quale, ovviamente, proteggere quegli interessi concreti e individuali di cui i miliardari sono portatori. Mi si obietterà che negli Stati Uniti questo sistema esiste e funziona bene. Tuttavia, parliamo di un Paese diverso, con una tradizione diversa e con una struttura politica e istituzionale del tutto differente. Non bisogna scadere nella banalità di pensare che l’Italia è il solo Paese che finanzia i partiti con i soldi pubblici. Nell’Europa meridionale, su 24 paesi solo 2, Andorra e Malta, negano forme di sostegno ai partiti. Nell’Europa del nord, nessuno degli 11 paesi nega un sostegno. Nell’Europa Occidentale solo una nazione, la Svizzera, non prevede alcun tipo di finanziamento. E nell’Europa dell’Est (12 paesi) solo la Bielorussia, la Moldavia e l’Ucraina lasciano i partiti senza fondi. Dunque, forse la strada più giusta da percorrere potrebbe essere quella di finanziare l’attività dei partiti in misura minore e, soprattutto che la loro attività sia sottoposta ad un controllo che si ponga al di sopra delle parti e dei loro interessi. Alla Corte dei Conti, per esempio. Un limite e un controllo, insomma. Ma la forcaiola opinione pubblica italiana non è in grado di tollerare le mezze misure, ed un domani si troverà a dover condannare con forza il sistema di finanziamento privato dei partiti, e chiederà a gran voce il ritorno del finanziamento pubblico. Il solito opportunismo italico.


sabato 24 febbraio 2024

La democrazia in Europa

Dalla testata "Il Roma" del 21 gennaio 2014

Ritorno a parlare d’Europa, anticipando il grande e intenso dibattito che accompagnerà le elezioni del prossimo maggio. Le elezioni europee sono storicamente contraddistinte da un forte astensionismo. In passato i cittadini dei vari Stati membri sentivano così lontana l’istituzione del Parlamento europeo (purtroppo l’unica istituzione europea per la quale c’è il suffragio universale dei cittadini) che non ritenevano utile o interessante andare a votare. Negli ultimi anni, però, il dibattito sull’Europa è stato così forte, e talvolta duro, che non è azzardato prevedere un sensibile aumento delle percentuali di affluenza. Ma, al di là di quello che succederà alle prossime elezioni europee, bisogna capire le ragioni di questa distanza tra i cittadini dell’Unione Europea e l’Unione stessa. Vi è senz’altro una difficoltà di capire il sistema comunitario, e spesso si crede che l’Europa sia lontana dalla vita quotidiana dei cittadini. Chi ha a cuore la democrazia Europa non può, però, non interrogarsi su quali potrebbero essere le misure in grado di garantire una maggiore mobilitazione dei cittadini. La prima azione da rendere visibile dovrebbe essere quella tesa a dare un ruolo più importante al Parlamento Europeo (unica istituzione veramente democratica nel panorama delle istituzioni dell’Unione Europea). Inoltre, si potrebbe collegare l’elezione del Presidente delle Commissione europea alle elezioni europee. Se, infatti, i vari partiti politici dichiarassero fin dall’inizio della campagna elettorale il loro candidato alla presidenza della Commissione, probabilmente i cittadini si vedrebbero più motivati rispetto al voto. Per dirla in termini più semplici, i cittadini europei, attraverso le elezioni al Parlamento Europeo, eleggerebbero contestualmente un vero e proprio presidente europeo. Con tali modalità si favorirebbe, inoltre, lo sviluppo di una politica veramente europea, e dunque, per forza di cose, transazionale. Questa è una delle proposte, e forse la più interessante tra quelle che sono stato avanzate nel corso dell’annoso dibattito intorno all’assenza di democraticità in senso alle istituzioni europee. Ma se questa assenza di democraticità del sistema è così palese e certa, e l’Europa non fa nulla o quasi per cambiare sé stessa, vuol dire che le scelte della tecnocrazia prevalgono su quelle della politica. E quando è la tecnocrazia a scegliere in luogo delle masse non è mai un bene, perché manca la legittimità democratica del mandato. I popoli europei, però, non sono così dormienti come si vuol credere, e dunque se la “mano grigia” che muove l’Europa non si decide a favorire riforme che garantiscano una maggiore democraticità del sistema, si ritroverà, con il tempo, davanti alle macerie di una unità sognata, alla quale, però, i popoli europei avranno miseramente voltato le spalle.

Manlio Marano